70.
Incominciarono ad arrivare a migliaia il primo giorno, a decine di migliaia l'indomani. Da tutto il Messico settentrionale una massa ispirata dagli incitamenti deliranti di Topiltzin s'era messa in viaggio con le automobili, gli autobus e i camion sovraccarichi, o addirittura a piedi per raggiungere la cittadina polverosa di Miguel Alemán, sulla sponda opposta a Roma. Le strade asfaltate che venivano da Monterrey, Tampico e Città di Messico erano intasate da un torrente ininterrotto di veicoli.
Il presidente De Lorenzo tentò di fermare la valanga umana che avanzava verso il confine. Ordinò alle forze armate del suo paese di bloccare le strade. Ma era come se i militari tentassero di fermare un'alluvione.
Alla periferia di Guadalupe una squadra di soldati che stava per essere travolta sparò contro la folla e uccise cinquantaquattro persone, quasi tutti donne e bambini.
Senza volerlo, De Lorenzo aveva fatto il gioco di Topiltzin. Era la reazione in cui sperava Robert Capesterre. A Città di Messico scoppiarono disordini, e De Lorenzo si rese conto che doveva fare marcia indietro per non affrontare disordini crescenti e una possibile rivoluzione.
Inviò alla Casa Bianca un messaggio che esprimeva il suo sincero rammarico per l'impossibilità di arginare quell'orda; poi richiamò i soldati, molti dei quali disertarono e si associarono alla crociata.
La folla, che ormai nulla poteva più frenare, sciamò verso il Rio Grande.
I pianificatori professionisti al soldo della famiglia Capesterre e i seguaci di Topiltzin eressero una tendopoli di cinque chilometri quadrati, montarono le cucine da campo e cominciarono a distribuire il cibo. Gli impianti igienici arrivarono con i camion e furono messi in funzione. Non venne trascurato nulla. Molti dei miserabili che avevano invaso l'area non avevano mai mangiato così bene. Le nubi di polvere e il fumo dei motori diesel turbinavano nell'aria.
Sulla riva messicana del Rio Grande apparvero striscioni dipinti a mano.
«Gli Stati Uniti hanno rubato la nostra terra», «Rivogliamo la terra dei nostri avi», «Le antichità appartengono al Messico». Tutti cantavano gli stessi slogan in inglese, spagnolo e nahuatl. Topiltzin si aggirava tra le masse dei fanatici e li spronava a una follia collettiva che si era vista raramente al mondo al di fuori dell'Iran.
Le squadre della televisione avevano il loro da fare a registrare quelle manifestazioni pittoresche. Le telecamere, con i cavi che le collegavano a due dozzine di unità mobili, erano schierate sopra l'altura di Roma e inquadravano la sponda opposta del fiume.
I corrispondenti ignari che si aggiravano tra la folla non sapevano che le famiglie dei contadini da loro intervistate erano state meticolosamente infiltrate e indottrinate. In molti casi quegli individui dall'aria di poveri diavoli erano attori che parlavano benissimo l'inglese, ma rispondevano alle domande con frasi smozzicate e accenti tremendi. I loro appelli lacrimosi che invocavano il diritto di insediarsi per sempre in California, Arizona, Nuovo Messico e Texas suscitarono un'ondata di commozione imbecille in tutta la nazione quando i servizi furono trasmessi nei telegiornali della sera e nei talk-show della mattina.
Gli unici che non si lasciavano impressionare erano gli uomini della guardia confinaria degli Stati Uniti. Fino a quel momento, la minaccia di un'invasione massiccia era stata soltanto un incubo. Ma ora stavano per assistere all'avverarsi delle loro peggiori paure.
Gli uomini della guardia di confine avevano raramente motivo di usare le armi. Trattavano umanamente gli immigrati clandestini prima di rimpatriarli. Non vedevano con entusiasmo i contingenti dell'esercito che coprivano la riva statunitense del fiume come formiche mimetizzate.
Vedevano soltanto la prospettiva di disastri e di massacri nella lunga linea delle armi automatiche e nei venti carri armati con i cannoni puntati verso il Messico.
I soldati erano giovani ed efficienti. Ma erano addestrati a combattere contro nemici che reagivano. Si sentivano a disagio al pensiero di affrontare un'ondata di civili inermi.
Il comandante, il generale di brigata Curtis Chandler, aveva barricato il ponte con i carri armati e i mezzi corazzati, ma Topiltzin aveva previsto quell'evenienza. La riva del fiume era stipata d'una quantità di barche, zattere e pneumatici rastrellati entro un raggio di trecento chilometri. I ponti di corda venivano preparati per essere portati sull'altra riva dalla prima ondata.
L'ufficiale della guardia di confine che era alle dirette dipendenze del generale Chandler prevedeva un assalto iniziale di ventimila persone prima che la flottiglia ritornasse a caricare una nuova ondata. Era impossibile immaginare quanti avrebbero attraversato il fiume a nuoto. Una sua agente era riuscita a penetrare nella roulotte che serviva da mensa agli aiutanti di Topiltzin e aveva riferito che la bufera si sarebbe scatenata a tarda sera, dopo che il messia azteco avesse debitamente aizzato i suoi seguaci fanatici. Ma l'agente non era riuscita a scoprire per quale sera era prevista l'azione.
Chandler aveva prestato servizio in Vietnam per tre turni, e sapeva per esperienza personale che cosa significava uccidere giovani donne fanatiche e ragazzini che colpivano senza preavviso uscendo dalla giungla. Diede ai suoi l'ordine di sparare sopra la testa degli invasori quando avesse cominciato ad attraversare il fiume.
E se quell'avvertimento non fosse stato sufficiente... Chandler era un soldato che faceva il suo dovere senza discutere. Se gli avessero dato l'ordine, avrebbe usato i suoi uomini per respingere l'invasione, anche a costo di un bagno di sangue.
Pitt era sulla terrazza dell'emporio di Sam Trinity e guardava con il telescopio che il texano adoperava per studiare le stelle. Il sole era sceso dietro le colline a occidente e la luce del giorno stava per svanire, ma al di là del Rio Grande stava per incominciare lo spettacolo meticolosamente preparato. Si accesero batterie di riflettori multicolori; alcuni sciabolarono il cielo, altri illuminarono una torre eretta al centro della tendopoli.
Pitt inquadrò una figura che stava sulla piattaforma in cima alla torre e che indossava una lunga tunica bianca e un'acconciatura coloratissima.
Dal movimento delle braccia sollevate non era difficile dedurre che l'individuo era impegnato in un discorso veemente.
«Chi può essere quel tipo in costume da ballo in maschera che sta aizzando gli indigeni?»
Sandecker, che assieme a Lily esaminava le registrazioni dei rilevamenti del sottosuolo, alzò la testa alla domanda di Pitt. «Con ogni probabilità è quel buffone del falso Topiltzin», borbottò.
«Sta suggestionando la folla con l'abilità di un evangelista.»
«Qualcosa fa pensare che stanotte tenteranno la traversata?» chiese Lily.
Pitt si staccò dal telescopio e scosse la testa. «Stanno lavorando sulla loro flotta, ma non credo che verranno ancora per quarantotto ore. Topiltzin non tenterà l'offensiva se prima non avrà la certezza di fare notizia in tutto il mondo.»
«Topiltzin è un nome falso», spiegò Sandecker. «Quello vero è Robert Capesterre.»
«Si è trovato un'attività redditizia.»
Sandecker alzò il pollice e l'indice e li accostò. «Gli manca solo tanto così per diventare padrone del Messico.»
«E se quell'adunata oceanica sull'altra riva del fiume può servire come indicazione, vuoi mettere le grinfie anche sul sud-ovest americano.»
Lily si alzò e si stirò. «Quest'attesa mi fa impazzire. Noi facciamo il lavoro e i genieri si prendono tutta la gloria. È molto scortese da parte loro impedirci di seguire gli scavi e di entrare nella proprietà di Sam.»
Pitt e Sandecker sorrisero alla parola scelta da Lily. «Io avrei usato un termine un po' più forte di 'scortese'», commentò l'ammiraglio.
Lily mordicchiò nervosamente una penna. «Perché il senatore non si fa vivo? Avremmo dovuto avere sue notizie.»
«Non saprei», rispose Sandecker. «Dopo che gli ho spiegato le idee di Dirk, mi ha risposto soltanto che avrebbe combinato qualcosa.»
«Vorrei tanto sapere come va», mormorò Lily.
Trinity comparve sulla scala e si passò le mani sul grembiule. «Qualcuno vuole un piatto del famoso chili alla Trinity?»
Lily gli rivolse un'occhiata dubbiosa. «È molto piccante?»
«Cara signorina, posso farlo delicato come una toffoletta o forte come l'acido per batterie. Come preferisce.»
«Vada per la toffoletta», decise Lily senza esitare.
Prima che Pitt e Sandecker potessero esprimere le loro preferenze, Sam Trinity si voltò a guardare nella semioscurità una fila di fari che si avvicinava lungo la strada. «Dev'essere un altro convoglio dell'esercito», annunciò. «Di qui non passano macchine né camion da quando il generale ha bloccato le strade e dirottato tutto il traffico verso nord.»
Poco dopo contarono cinque camion preceduti da un hummer, il veicolo che aveva sostituito la longeva jeep. L'ultimo camion trainava un rimorchio con un caricò coperto da un telone. Il convoglio non lasciò la strada per dirigersi verso l'accampamento dei genieri su Gongora Hill e non si addentrò in Roma. Si infilò nel viale che portava al Circo Romano di Sarti e si fermò fra le pompe e l'emporio. I passeggeri scesero dall'hummer e si guardarono intorno.
Pitt riconobbe immediatamente tre facce che gli erano familiari. Due degli uomini erano in uniforme, il terzo indossava jeans e maglione. Pitt scavalcò la ringhiera e si calò fino a poca distanza dal suolo. Poi lasciò la presa e atterrò di fronte ai tre. La fitta di dolore causata dalla gamba ferita gli strappò un gemito. I tre erano sorpresi dalla sua apparizione quanto Pitt lo era della loro.
«Da dove piovi?» chiese Al Giordino con un gran sorriso. Era pallido nella luce dei riflettori e portava il braccio al collo, ma aveva la solita aria stizzosa.
«Stavo per farvi la stessa domanda.»
Il colonnello Hollis si fece avanti. «Non immaginavo che ci saremmo rivisti tanto presto.»
«Neppure io», soggiunse il maggiore Dillinger.
Pitt provò un profondo senso di sollievo mentre stringeva loro la mano. «Se dicessi che sono contento di vedervi sarebbe poco. Come mai siete qui?»
«Suo padre ha fatto pressione sui capi di stato maggiore», spiegò Hollis. «Avevo appena finito il mio rapporto sulla missione Lady Flamborough quando è arrivato l'ordine di radunare le squadre e di precipitarci qui con mezzi di trasporto terrestri, passando per le strade di campagna secondarie. Il tutto coperto dal massimo segreto. Mi è stato detto che il comandante sul campo non verrà informato della nostra missione se non quando mi presenterò a lui.»
«Il generale Chandler», disse Pitt.
«Sì, Chandler l'Inflessibile. Ho prestato servizio ai suoi ordini nella NATO otto anni fa. È ancora convinto che le guerre si vincano con i soli mezzi corazzati, quindi gli è toccato il compito di fare la parte di Orazio Coclite alla difesa del ponte.»
«E voi che ordini avete?» chiese Pitt.
«Collaborare con lei e la dottoressa Sharp nel progetto che avete in corso. L'ammiraglio Sandecker terrà i collegamenti diretti con il senatore e il Pentagono. È più o meno tutto quello che so.»
«Nessuno ha parlato della Casa Bianca?»
«Non è stato messo niente sulla carta.» Hollis si voltò quando Lily e l'ammiraglio, che erano scesi dalla scala interna, uscirono dalla porta. Mentre Lily abbracciava Giordino e Dillinger si presentava a Sandecker, Hollis prese in disparte Pitt.
«Che cosa diavolo sta succedendo qui?» mormorò. «Che cos'è, un circo?»
Pitt sorrise maliziosamente. «C'è andato molto vicino.»
«E che c'entrano le mie Forze Speciali?»
«Quando comincerà la mischia generale», disse Pitt, che era ridiventato di colpo serissimo, «il vostro compito sarà far saltare in aria l'emporio.»